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La straniera - italien - Mirta Cimmino
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 Article publié le 5 avril 2015.

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I TEMPO

Dal cielo, dallo spazio, si vede immediatamente la superficie dell’acqua che ricopre gran parte di questo pianeta, conosciuto da alcuni col nome di pianeta blu.

Dall’altra parte, c’è la materia, sotto forma di spazi chiusi, multipli, che si estendono per svariati ettometri quadrati, e che formano una stazione abitabile. A lunghi corridoi ne succedono altri, tutti abbondantemente illuminati, dal suolo al soffitto passando per le pareti, segmenti obliqui si alternano con angoli retti, altrettanti archi e croci che possono già dare un’idea dell’esterno della stazione, della sua architettura, e soprattutto altrettante strade che conducono a diverse sale, stanze organizzate in funzione della vita quotidiana, dei bisogni più elementari al lavoro di ricerca, senza dimenticare la pausa o il riposo.

Nei corridoi, regnano la luce e il silenzio, che conferiscono allo spazio una statica ancora maggiore. A sinistra, a destra, in fondo, continuano, si ripetono, a volte con qualche variazione al livello dell’altezza o della larghezza, nonché al livello – singolarmente o congiuntamente – della profondità. E sempre questa luce nitida e viva, e ancora questo silenzio denso, compatto, pieno.

Finché, un po’ più lontano, si apre una camera stagna, con un rumore tuttavia tenue, che non fa propriamente irruzione, che può essere considerato come un’intrusione, un rumore sinonimo di apertura, di disgiunzione bilaterale a partire dalla quale una donna di grande levatura e di alta statura appare, prima di imboccare uno dei corridoi e dirigersi, apparentemente, verso una sala precisa. 

Appare da sola, vestita di un completo bianco che termina in un dolcevita. Intorno ad esso, i suoi capelli bruni e lunghi, ondulati, si fanno spazio, nascondendo un po’ le spalle, che nondimeno si mostrano larghe e dritte. La sua figura è atletica, forse semplicemente un dono di natura. Abbastanza rapidamente, questa donna raggiunge una sala di lavoro dove un’équipe di collaboratori visibilmente l’attendeva. Là, si ferma davanti a loro e sembra pronunciare un discorso preciso e sintetico, il riassunto, forse, delle proprie ricerche. In numero di cinque, i suoi colleghi ascoltano attentamente, alcuni intervenendo per fare un’osservazione o muovere un’obiezione. Considerata la sua posizione nello spazio, davanti ai suoi collaboratori il cui allineamento forma un arco, si può supporre, senza troppi rischi, che colui o colei che dirige la missione è proprio lei. 

Una missione di cui è possibile rintracciare qualche elemento sugli schermi, dietro le sagome, attraverso icone di vegetali o rocce, misure, calcoli, rilievi…

Poi, il gruppo si disperde, probabilmente per rimettersi all’opera, mentre la direttrice o coordinatrice prosegue a destra, verso quello spazio libero accessibile grazie a una scala, uno spazio dal quale si può vedere l’esterno, la notte stellata, una parte della stazione, nonché quel pianeta blu, laggiù, lontano. 

I suoi occhi guardano quel disco blu mentre nella sua testa degli esseri umani, degli individui si fanno spazio, come i suoi figli, i suoi vecchi vicini o ancora colui che forse è il narratore…

Investita di una missione al contempo precisa e senza nome, anche se in base ai dati precedentemente evocati – immagini, carte, cifre – è possibile supporne la natura, questa donna, questa signora si concede, qui e ora, una pausa, lo sguardo esule in quell’immensità nera crivellata di costellazioni, verso quell’infinito la cui conoscenza rimarrà incompleta, incompiuta, come il resto, d’altronde…

 

II TEMPO

Al bancone di un locale notturno, di un luogo in cui si sente una piacevole musica di sottofondo, di cui alcuni elementi appartenenti alla famiglia degli strumenti a fiato, degli strumenti a corda, o ancora degli strumenti a tasti come il piano sono riconoscibili, in questa cornice notturna dove la luce è decisamente soffusa, dove due grandi spazi rettangolari si congiungono a uno spazio circolare più grande occupato al centro da tavoli, a loro volta occupati da clienti, un luogo situato in una città del Vecchio continente, una signora di alta statura, dai capelli bruni e ondulati, è seduta, in abito da sera, davanti a un bicchiere contenente una bibita color rame. È qui che è nata, è qui che vive, in un paese multisecolare segnato da storie incredibili, storie che hanno fatto la Storia.

Mentre guida il bicchiere fino alla bocca e beve un nuovo sorso, un uomo arriva in primo piano, partendo da destra, un uomo sembra fare tranquillamente irruzione, raggiunge adesso il bancone, giusto accanto alla signora in questione. Quest’uomo è tutto di nero vestito, il collo rialzato della sua giacca che accentua la sua già alta statura. L’epidermide del suo viso, pallida, è ricoperta da una barba di qualche giorno, mentre i suoi capelli, bruni e corti, sono leggermente in disordine, un disordine voluto. I tratti del suo viso sono netti e franchi : mascella un po’ quadrata, naso dritto, lunghe sopracciglia e fronte ampia. Quest’uomo, stranamente, somiglia molto al narratore :

— Permette ? dice alla signora dopo essersi seduto quasi affianco a lei, sullo sgabello libero.

La bella donna bruna poggia il bicchiere sul bancone e risponde semplicemente con un cortese « prego », tenendo lo sguardo fisso, sull’asse frontale. Poi, mentre l’uomo continua a guardarla, mostrando il suo profilo allo specchio, lei si gira verso di lui, dopo qualche secondo.

— Mi chiamo Alexandre. Ma ... non mi dica il suo nome. Non ha importanza.

— Alexandre ... bel nome, patronimico elegante, gli dice lei guardandolo dritto negli occhi, abbozzando un mezzo sorriso.

— Lei è bella, cara signora. Magnifica, direi...

— Anche lei non è niente male... gli risponde lei accavallando le gambe dal lato del corteggiatore, delle gambe ormai ampiamente visibili, delle lunghe gambe coperte da calze nere e terminanti in décolletés altrettanto nere. Poi, continua :

— Non le domanderò cosa fa, Alexandre.

— Io, invece, vorrei sapere ...

— Sapere cosa ?

— Cosa fa. Chi è.

Dopo qualche secondo, lei gli dice :

— Sono in missione.

« In missione... pensa un po’ », si dice il sosia del narratore mascherando la sua sorpresa.

— Nel campo della geobiologia.

— La geobiologia ?

— Si. Ne sentirà parlare di più tra qualche tempo. Grazie alla qui presente rappresentante più meritevole, che lei ha scelto di sedurre, caro signore.

A queste parole, l’uomo che somiglia tanto al narratore avvicina lentamente il suo viso alla donna, gli occhi sulle sue labbra, su quella bocca sottile e grande che ha appena pronunciato parole senza dubbio molto soggettive ed entra in contatto con la sua pelle. Labbra contro labbra, naso a naso per un breve istante, il tempo di sospendere tante esitazioni… prima che lei si ritragga lentamente, posi brevemente la mano sul suo avambraccio, si allontani dal bancone e lasci il locale. 

 

III TEMPO

 Nella sua automobile, una grande berlina ad energia elettrica, la donna bruna sta effettuando il tragitto di ritorno, quei pochi chilometri che collegano la sua villetta e la sua periferia al vasto centro urbano da cui si allontana, progressivamente. Poco a poco, le innumerevoli facciate sfumano, svaniscono, poco a poco appaiono le ampie strade che portano, tra le altre direzioni, verso l’interno del paese e, prima di tutto, verso quella nebulosa agglomerata intorno al centro, formata da altrettante città, da un reticolato di quartieri residenziali. La conducente è sola a bordo dell’automobile, sola con il silenzio che l’accompagna, almeno fino a casa, alla sua dimora. All’interno di questo spazio, in quest’abitacolo, può sentire il rumore sommesso delle altre auto che talvolta la incrociano, il rumore soffocato dei pneumatici che sposano l’asfalto a grande velocità, il rumore della gomma sul catrame, un catrame scuro, quasi nero, un catrame uniforme. Dal lato destro, aldilà del guard rail, dei grandi parchi si delineano, veri polmoni verdi dove gli abitanti dei paraggi hanno l’abitudine di recarsi allo scopo di ossigenarsi, di fare una pausa, una sosta.

Ora la strada si restringe, ora la conducente attraversa un ponte al termine del quale il paesaggio cambia radicalmente, un paesaggio in cui è assente ogni verticalità eccetto quella che caratterizza alcuni alberi, soprattutto quelli che ornano uno spazio vuoto, uno spazio vergine dietro il quale si trova la sua villetta. Là, parcheggia l’auto ed entra in un negozio per fare un paio di compere. Ne esce rapidamente, munita di un giornale, a quanto pare, e continua il percorso a piedi, sulla strada stretta e aperta che vi conduce, animata probabilmente dall’intenzione di ripartire dopo breve tempo. Per il momento cammina, avendo scorso i titoli di alcune pagine, mentre a sinistra, non lontano, sta avendo luogo quel che si potrebbe chiamare uno spettacolo di ampia portata. In un’aria sgombra, diverse torri residenziali, di altezza relativa se non modesta, crollano con una progressione lenta, ineluttabile, la caduta di un piano che trascina con sé l’annientamento del successivo, e così via, finché le fondamenta, cioè la base di travi e pilastri, si sfasciano, si riducono alla loro più semplice espressione di calcinacci di pietra e cemento ormai multipli e disseminati sul suolo, mentre una spessa polvere opaca si è appena sollevata, prendendo il posto, provvisoriamente, della verticalità rigida che si ergeva da qualche decennio e che diveniva obsoleta, desueta, un’altezza dissolta per sempre. Durante la caduta di queste torri, il rumore non ha cessato di amplificarsi, come se si trattasse di una successione di deflagrazioni, rumori tipici in tempo di guerra, come un rumore esponenziale che si ripercuote nel suolo, che ha ammortizzato l’impatto. Durante questi pochi, particolari secondi, la grande donna bruna è sembrata indifferente all’evento, o quanto meno non ha lasciato trasparire la minima attenzione, la minima emozione, continuando a camminare con lo stesso passo, senza guardare neanche una volta in direzione delle torri. 

All’interno della sua casa, si serve un succo di frutta ben fresco, sale al primo piano e raggiunge il balcone, un balcone che dà sul panorama delle vecchie torri, quello spazio ormai libero, vuoto, in cui la riqualificazione, la trasformazione, assumeranno pienamente senso. 

Senza alcun legame apparente, due immagini si fanno spazio nella sua testa : prima una grande strada punteggiata da processioni di camion incommensurabili che si susseguono con andatura lenta, così lenta che sembrano fermi, mentre delle donne, a intervalli regolari, camminano in mezzo alla carreggiata e parlano con gli autisti, donne vestite tutte in maniera più che suggestiva, donne pronte, quindi, a trasformarsi in transazione ; poi, una giovane donna, una giovanissima donna a cavallo, animata da una volontà fuori dal comune, una donna mistica in piena azione, quella di respingere dei perentori invasori. Questa giovane belligerante dagli occhi chiari e dallo sguardo fisso avanza, dà ordini… è inflessibile. 

Sulla tavola del salotto, il giornale è aperto a piena pagina. Nelle pagine centrali, un avvenimento importante spicca nella sezione attualità, forse fino a dominarla, un avvenimento che riguarda sicuramente la residente del piano superiore, una donna che si appresta a tornare giù, con la mente sgombra.

 

IV TEMPO

Qui, i laghi ed i fiumi attraversano, irrigano tutta la terra, tutto il paese. È il tratto caratteristico e ricorrente di queste regioni settentrionali del Vecchio continente. Qui, il calendario è bicefalo, ritmato da inverno ed estate, qui la notte dura a lungo, impone il suo manto nero per gran parte della giornata, soprattutto durante la prima stagione, un manto nero al quale si aggiunge un freddo intenso e secco che obbliga a coprirsi di strati.

Qui, è la Scandinavia.

Non lontano dalla capitale, in un paesino, è mattina. La grande donna bruna ha appena svegliato i suoi bambini e li prepara per andare a scuola. Poche case formano questo borgo in cui i residenti si conoscono, si frequentano.

Mentre il cielo si libera un po’, diventando meno opaco, meno latteo, la landa resta coperta di gelo e di gocce cristalline che diventeranno senza dubbio liquide tra qualche ora prima di essere assorbite dalla terra, se il sole non è velato dalle nuvole o da una bruma persistente. 

In una delle case del paesino, la luce naturale illumina già l’interno, attraverso le multiple aperture trasversali e i pannelli solari che occupano gran parte del tetto. Nella sala da pranzo, la madre mangia con i suoi figli intorno a una grande tavola. Di tanto in tanto, risponde alle loro domande, mentre li aiuta a servirsi da mangiare. Quello che si sente, essenzialmente, è il tintinnio delle posate nelle stoviglie e il silenzio del mattino, della natura. Il bambino e la bambina sono calmi, placidi, il loro appetito si espande con il passare dei minuti, così come la loro mente che oscilla tra il dialogo con la genitrice, attraverso l’uso della forma interrogativa, e la speculazione interiore. La madre, nel frattempo, sta attenta ai loro gesti e azioni, allo svolgimento del pasto mattutino, mentre pensa al suo lavoro. 

Vive in Scandinavia da qualche tempo, ormai. È una terra che ha rapidamente adottato, i cui usi e costumi non le sono mai sembrati stranieri. È soprattutto il clima che cambia, qui. E la lingua. Si tratta senza dubbio della principale eredità che ha importato dal suo luogo natale : una lingua ricca e sottile, conosciuta da tutti i popoli del Vecchio continente, e anche dalla Scandinavia, la sua regione nordica. Questa donna nel vivo degli anni possiede uno sguardo particolare che contiene molte cose, molti dati difficilmente decifrabili, leggibili in quanto sentimenti o emozioni. Il suo fisico, la sua forma, non rispondono ai canoni estetici classici della bellezza, ma non per questo è meno superba da un punto di vista soggettivo. La sua bellezza, in fin dei conti, rappresenta qualcosa che rientra nell’eccesso, un eccesso di vita. E il fascino di quest’eccesso di vita risiede senza dubbio nel suo ritegno. Il vicino l’ha notata dal primo momento, fin dal suo arrivo. È stato lui stesso a proporle i suoi servizi, ad offrirsi volontario di portare i suoi figli a scuola insieme ai propri. Avendo aperto la porta, ora lo saluta, tra l’altro, mentre lui è appena uscito di casa. 

Poi, augura una buona giornata ai suoi figli e ringrazia il vicino, prima di rientrare in casa. 

Nel soggiorno, su uno dei mobili dal design recente, una fotografia incorniciata : vi figura un uomo che somiglia vagamente al narratore.

Sul piano, nel suo studio, un planisfero digitale occupa l’intera facciata di un muro, mentre sul sécrétaire, a destra, è poggiato un mappamondo, attraversato da un asse o da un’asta in carbonio che permette di farlo girare senza difficoltà, poggiando semplicemente l’estremità di un dito su uno dei lati. 

V TEMPO

Se dovessi precisare il ritratto di questa donna, di questo personaggio centrale, se dovessi fornire elementi più precisi sulla sua identità, sul suo stato civile, scriverei il paragrafo che segue : donna in possesso di tutte le sue facoltà fisiche e mentali ; quarantenne ; madre di famiglia ; di un’altezza superiore i centosettantacinque centimetri ; caratterizzata da un fisico slanciato e ben tornito, tonico, aggiungerei ; di tipo europeo, parzialmente latino ; adornata da numerosi patronimici di cui il principale è Marianne, mentre gli altri, secondari, come Jeanne, Catherine, Pénélope, Elisabeth, Cassiopée o ancora Jacinthe seguono senza la minima gerarchia, adornata infine da un nome poco noto e poco diffuso, un nome che senza dubbio le si addice perfettamente, le calza a pennello : Héra.

Per quanto riguarda il suo passato, ha svolto diversi mestieri prima di partire in missione, prima di inventarsi un nuovo ruolo, forse il più importante. Queste molteplici esperienze che hanno marcato la sua vita si fanno sempre più sfocate man mano che le evoco, come se, in fin dei conti, non avessero avuto davvero importanza. Simultaneamente, numerose zone d’ombra sorgono, prendono forma, materializzano in un certo qual modo l’opacità di un passato tuttavia ricco, un passato in cui si sono svolti molteplici eventi.

Precedentemente, fu formata alle scienze cosiddette esatte, avendo acquisito lo spirito dell’analisi o della ricerca, quello spirito che permette di essere aperti al mondo.

Quello spirito che permette, anche, di sentirsi in missione...


La solitudine dell’uomo è ben nota. Ma quella della donna ?

Che ne è stato ? O… che ne è stata ?

Forse è anch’essa prometeica, attraverso la figura di questa donna odissiaca, una donna certamente viva.

 

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