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Messia - italien - Mirta Cimmino
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 Article publié le 9 février 2014.

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La narrazione resta in sospeso.

E tuttavia, c’è già qualcosa, là, qui davanti.

La panoplia, il ventaglio delle parole, dei termini e delle loro multiple – innumerevoli ? – sfumature, sono per il momento immobili.

Ho azzardato “innumerevoli” con un tono ipotetico, ma potrebbe anche essere “evanescenti”. La materia, in effetti, non tarda a imporsi sotto gli occhi del narratore – vale a dire i miei – una materia al contempo familiare e inedita.

Sì, totalmente inedita.

 In questa immensa cattedrale – probabilmente potrei usare un altro termine, ma sarebbe tuttavia molto più aleatorio, considerata la mia scarsa conoscenza dei luoghi –, la lunghezza, l’altezza e la larghezza superano le capacità del mio campo visivo, superano la comprensione. Senza troppo rischiare, posso pronunciare le parole sontuoso, magnifico, smisurato ; parole che scivolano sulla materia e sulle sue declinazioni, sul numero dei pilastri e sulla loro imponenza, sulla verticalità delle vetrate, sugli incroci e sugli intarsi delle linee – soprattutto delle ogive -, così come quest’alta silhouette femminile drappeggiata di bianco avanza progressivamente, lasciando l’altare per venirmi incontro, per accogliermi. Avanzo allora con passo lento e misurato, in compagnia dei fedeli che mi hanno seguito fin qui, dei fedeli tutti in disparte e la cui presenza somiglia a quella di una specie di scorta che occupa lo spazio in una maniera particolare, come uno zigzag in movimento. E davanti a me, una grande, altissima figura femminile, una verticalità semovente sulla quale gli attributi abituali della narrazione o del sistema narrativo non possono avere realmente presa, una verticalità semovente che respinge in qualche modo gli invisibili movimenti o tentativi di aggettivazione, una verticalità semovente che si muove in piena libertà in questo spazio immenso, che avanza, che progredisce, fino a fermarsi davanti a me, giusto al centro di quest’edificio che somiglia all’ingresso di una città, di una nuova cittadella o di una stazione orbitale.

Il suo abito o completo bianco evidenzia diversi ricami in rilievo, diversi galloni all’altezza delle spalle, che danno un carattere marziale alla sua funzione, e che accentuano l’orizzontalità della sua figura ; una figura, c’è da dirlo, ancora più bella. I suoi lunghi capelli bruni e ondulati hanno una densità importante, e la sua pettinatura mostra un ordine rilassato, in armonia o in accordo con il suo sguardo.

- Buongiorno, signora.

- Signore.

Dato che sono io il visitatore, sta probabilmente a me continuare, considerato soprattutto che la sua attesa interrogativa – senza la minima manifestazione d’impazienza, di stupore, d’irritazione ecc. … traspaia -, è comunque relativamente presente o attiva dietro il suo sguardo, dietro i tratti del suo viso.

- Sono appena arrivato qui da voi. Non ho avuto difficoltà a trovare l’accesso della vostra… cittadella ?

- Evidentemente. Siccome siete qui. Come avete fatto, sono stati i vostri collaboratori o amici qui presenti a guidarvi ?

La mia mano destra si muove allora brevemente nello spazio prima di restare immobile e tesa per un istante, giusto il tempo che i miei fedeli si dissolvano.

- Io non cerco mai. Io trovo, cara signora.

Da lontano, dietro di lei, sui bordi laterali dei gradini dell’altare, alcune persone si attivano in faccende domestiche. I loro gesti sono calmi e precisi, imperturbabili.

- Questo non mi stupisce affatto, da parte vostra – mi risponde lei aprendo le braccia, invitandomi a seguirla.

- Davvero ?

Camminiamo fianco a fianco, lentamente, verso il fondo dell’edificio.

- Un po’ vi conosco. E ho sentito parlare di voi.

- In bene, immagino.

- Esatto. Ma non mi avevano detto che foste così civettuolo.

Senza più aspettare, replico :

- Siete voi che comandate qui, vero ?

- Ecco una falsa domanda. Sapete bene che è così. Cosa volete dire, precisamente ?

- Siete voi che avete pieni poteri… giusto ?

- Sembra difficile nascondervi qualsiasi informazione.

- Ancor meno la realtà –, le dico guardandola dritto negli occhi, mentre le mie braccia continuano a seguire il movimento naturale della mia figura.

Lei allora si ferma, più ieratica che mai, e mi rivolge a sua volta uno sguardo deciso, prima che la sua voce posata pronunci le seguenti parole :

- Sappiate, signore, che vi conosco soprattutto per la vostra vecchia opera, quella famosa “Bibbia dell’onanismo femminile”.

- A quel che sembra, non vi è dispiaciuta… dico bene ?

La sua bocca si socchiude leggermente, poi la sua voce riprende :

- Non è questo il luogo né il momento per parlarne.

- Ma certo – rispondo lanciandole uno sguardo al tempo stesso insistente e malandrino.

Adesso, il quadro è un po’ cambiato, adesso lo spazio si è considerevolmente ridotto fino a materializzare un corridoio inondato di luce, un corridoio dai muri di pietra – una pietra spessa, una pietra massiccia -, mentre il suolo, anch’esso bianco, assomiglia a del calcare spianato, del calcare lucidato con la calce. Luci circolari, a intervalli regolari, sono incastonate nel soffitto, luci o dischi – o soli – che accompagnano i nostri passi, la nostra andatura comune la cui destinazione, provvisoria, ci porta a una sala da pranzo, in ogni caso così probabilmente bisognerebbe qualificarla. Sulla soglia, mi dice :

- Conto su di voi perché l’ubicazione del mio dominio resti confidenziale.

- Assolutamente. Non abbiate alcun timore.

Poi, passa davanti a me, davanti alla mia immobilità il cui tacito senso significa un’evidente cortesia verso le persone di sesso femminile, nel caso specifico verso la mia ospite, la cui fluidità o morbidezza penetra adesso nella sala, nella stanza, precedendomi di qualche passo.

Qui, non c’è nessuno al di fuori delle nostre due silhouette, al di fuori del suo lungo abito o completo bianco e del mio rivestimento di cuoio nero ; qui sono disposte delle vettovaglie su delle lunghe, lunghissime tavole che si susseguono, piene di frutti e diversi piatti di verdure.

- Dovete avere fame. Servitevi.

Munito di un piatto multicolore in cui la carne – il piatto forte – e l’insalata mista si affiancano, continuo la conversazione con la mia ospite che, dal canto suo, intacca con le sue mascelle un frutto rotondo. Tra le rispettive bocche, l’esposizione dei nostri discorsi continua, con la stessa chiarezza :

- Ditemi… Voi che siete straniero, come trovate il posto ?

- Oggettivamente magnifico.

- Nient’altro ?

Quei templi nuovi, quelle architetture inedite, l’organizzazione dello spazio… come parlargliene semplicemente ?

- Il poco che mi è stato dato di vedere mi sembra promettente. E solleva un bel po’ di domande.

- Per esempio, quali ?

- Siete sicura di poter governare da sola, qui ?

- Non sarete stupito di sapere che ho intenzione di dedicarmi a numerosi altri progetti. E allo stesso tempo.

- Se ho ben capito, la vostra risposta è in qualche modo negativa – le dico aprendo una bottiglia d’acqua gasata.

- Ci avete visto giusto. Ho molto lavoro.

La bottiglia di vetro si svuota inesorabilmente. E sento l’asperità frizzante scivolare nella mia gola, a ogni sorso, e sento il sapore di un’acqua particolarmente gradevole. Poi, poso il contenitore vuoto sulla tavola e riprendo :

- E avete persino creato una fonte. Non è cosa da poco.

- Avete un’intuizione sorprendente.

- Trovate ?

- Non era certo per titillare la vostra civetteria, signore.

Ci guardiamo un istante, un istante che si prolunga, senza pronunciare una sola parola, la più piccola parola, senza neppure lasciar vagare i nostri pensieri, almeno all’apparenza.

Quale evento, quale intrusione… o chi di noi due romperà questo silenzio ?

- Piani, progetti… sviluppi, ideee… sono sicuro che non vi mancano, parallelamente a quello che avete già realizzato. Allora, lavorare per voi… o con voi, piuttosto. Sì, forse è questa la ragione della mia venuta.

Che ne pensate ?

 

Traduzione di

Mirta Cimmino

 

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